ROMA (FLASHSPORT.EU) – Vincenzo Iaquinta, l’ex attaccante della Juventus e della Nazionale, è stato condannato a due anni nel processo ‘Aemilia’. Per Iaquinta sono stati chiesti sei anni per reati relativi alle armi con l’aggravante mafiosa. Il padre dell’ex calciatore, Giuseppe, con l’accusa di associazione mafiosa, è stato condannato invece a 19 anni. “Vergogna, ridicoli”, hanno urlato nell’aula del tribunale padre e figlio alla lettura della sentenza.
Iaquinta: condannato perché calabrese – Fuori dall’aula arriva lo sfogo dell’ex calciatore: “Il nome `ndrangheta non sappiamo neanche cosa sia nella nostra famiglia. Non è possibile. Mi hanno rovinato la vita sul niente, perché sono calabrese, perché sono di Cutro. Sto soffrendo come un cane per la mia famiglia e i miei bambini senza aver fatto niente, ma io ho vinto un Mondiale e sono orgoglioso di essere calabrese. Noi non abbiamo fatto niente perché con la `ndrangheta non c’entriamo niente”.
Centoventicinque le condanne lette dal collegio dei giudici, 19 le assoluzioni e quattro le prescrizioni per i 148 imputati. Malgrado alcune riduzioni di pena anche consistenti, compensate da condanne più pesanti rispetto a quanto chiesto dall’accusa per altre posizioni, è stata pienamente conclamata l’esistenza di una ‘cosca’ attiva da anni in Emilia e nel Mantovano con epicentro a Reggio Emilia, diretta della cosca Grande Aracri di Cutro, ma autonoma e indipendente da essa.