Arezzo, Carolina, 80 anni e malata di Covid abbraccia il suo cane in ospedale. I medici: così è migliorata
Protagonista Carolina, una donna di 80 anni ricoverata nel reparto Covid e intubata. Il personale medico ha permesso al suo barboncino di entrare e le sue condizioni sono migliorate
Un gesto anarchico, lo ha definito Antonio D’Urso, direttore generale della Asl Tse, ma condivisibile. L’ospedale San Donato di Arezzo si sta dimostrando in Italia nosocomio all’avanguardia nel contrastare la solitudine dei pazienti ricoverati per Coronavirus. Un’attenzione verso i malati che questa volta è stata declinata con la visita di Whiskey, barboncino nano bianco di sei anni, alla padrona, amica, Carolina, ottantenne di un piccolo paese del Casentino, ricoverata da dieci giorni nella degenza Covid-19 di pneumologia.
«Avevo parlato con le figlie – racconta la psicologa Silvia Peruzzi, che segue gli incontri tra i pazienti Covid-19 e i loro parenti – e mi avevano descritto la passione della mamma per gli animali. Ho chiesto loro di inviarmi le foto del cane e, su un tablet, le ho fatte vedere a Carolina. La reazione emotiva è stata fortissima e ne ho parlato con la caposala». «Mi sono chiesta perché solo la foto e perché non consentirle d’incontrare il suo cane. Abbiamo parlato con il direttore del reparto, Raffaele Scala, e poi ci siamo messi d’accordo con le figlie. Una di loro ha portato Whiskey. Noi lo abbiamo avvolto nella tela di copertura dell’ecografo e l’abbiamo portato al letto della paziente. Lei, quando lo ha visto, ha detto: “Amore, vieni qui”», ha ribadito Manuela Caneschi, caposala della pneumologia.
Whiskey si è avvicinato al letto titubante ma, quando Carolina si è tolta la maschera total face trasparente, ha riconosciuto la sua amica e l’ha leccata in segno d’amore, poi si è messo in fondo al letto come per farle la guardia. Momenti commoventi per tutti, meno incredibili per chi ha un animale e ne conosce a fondo l’anima: «Lo ammetto: ci siamo messi tutti a piangere. Gli occhi della signora si sono illuminati ed è stato come se una luce avesse squarciato per un attimo l’oscurità del Coronavirus», ha ricordato Silvia Peruzzi. Soddisfatto anche il direttore, Raffaele Scala: «Sulla pet therapy c’è una vasta letteratura e sono indubbi i vantaggi psicologici e clinici. La signora sta affrontando una forma grave di polmonite da Coronavirus e ci è apparso evidente che non solo la visita dei familiari ma anche del cane, al quale è particolarmente affezionata, potesse rappresentare un sollievo rispetto al costante e faticoso pensiero della malattia. Non avevamo mai sperimentato l’ingresso di un cane nella degenza Covid-19 ma con l’assicurazione della sua docilità da parte dei parenti della paziente, lo abbiamo imbracato con un dispositivo di protezione e portato al letto della signora». Insomma, esperimento riuscito e, nei modi e nei numeri opportuni, replicabile.
Carolina ha quattro figli, Silvia, Tina, Sestilio e Marco, due gatti, il pappagallo Chicco e Whiskey, con il quale prima del ricovero viveva in simbiosi, come accade tra uomo (donna in questo caso) e animale, soprattutto nella vita all’aperto, quella di campagna: «Per la mamma è il quinto figlio. Lei ama tutti gli animali ma con lui ha un rapporto simbiotico. Se esce da sola per fare la spesa Whiskey si mette a piangere. Adesso sta con me, ma i primi tre giorni non ha né mangiato né dormito», ha raccontato Silvia, una delle due figlie. Aggiungendo: «È una donna gentile e amata da tutti. Quando fa un dolce ne fa dieci per tutti i vicini. Ora si è raccomandata di non portarlo tutti i giorni perché sarebbe troppo faticoso per lui». «La priorità, alla fine, rimane sempre una: il benessere del paziente. E se in questo caso si chiama Whiskey e ha le sembianze di un barboncino bianco, benvenuto al San Donato», ha concluso Antonio D’Urso.
Fonte Corriere della Sera